20.2.04

[1994#01] parlanti figure

La mirata selezione iconografica di questa pubblicazione consente di circoscrivere una sorta di variegata ma riconoscibile tendenza, un recente quanto consistente indirizzo di gusto e, ancor più, di ricerca nel campo dell’illustrazione, definito con sensibile proprietà critica New Pop, che negli Stati Uniti ha avuto il suo composito luogo di origine. Si può così constatare come questa speciale attività di produzione di immagini chiamata “illustrazione” sia ancor ben viva e in buona salute. Anzi, il New Pop dimostra come il mondo dell’illustrazione oggi viva una fase di sostanziale rinnovamento, creativamente attraversato da una insospettabile capacità di trasformazione, con una quasi biologica attitudine alla fecondazione incrociata, alla contaminazione senza nostalgie, alla libera ibridazione dei moduli compositivi e figurali, alla commistione ricercatamente banalizzante dei mezzi espressivi (ad esempio, con un inquietantente quanto sofisticato neo-primitivismo), tutti fenomeni che, per continuare nel parallelo col mondo naturale, servono forse per apportare una varianza necessaria agli esemplari della specie, per evitarne l’isterilimento e arricchirne la ricombinazione genetica. Ma che cos’ha di particolare, di specifico l’attività grafica che chiamiamo “illustrazione”, vien da chiedersi scorrendo queste pagine, tanto da poterla distinguere e individuare nell’enorme volume di produzione iconica di massa del nostro presente, ove come non mai le immagini sono state sottoposte a un consumo feroce, senza posa, aggressivamente teso a renderne instabile il deposito nella memoria collettiva? Nel senso in cui la intendiamo ormai comunemente, cioè di “riproduzione a stampa di un artefatto – secondo la puntuale definizione di P. Pallottino – di natura grafico-pittorica, commissionato dall’industria editoriale, e pertanto reperibile nei relativi prodotti” sempre in rapporto a un qualche testo, l’illustrazione fa parte della vasta prole legittima della rivoluzione industriale nel campo dell’iconicità diffusa o, meglio, di quella riproducibilità tecnica che di tale rivoluzione è stato uno dei portati, di travolgente impatto nel campo delle arti. Non a caso, con questo significato, il termine illustration nasce infatti nel paese della rivoluzione industriale, in Inghilterra, nel secondo decennio dell’Ottocento, per diffondersi lentamente in Europa, mentre è dagli anni quaranta dello stesso secolo che compaiono i primi periodici sistematicamente legati all’illustrazione, fin dal titolo (dal londinese “Illustrated News” al torinese “Il Mondo Illustrato”), in cui si costituirà la tradizione sostanziale dell’illustrazione, prima che questa pratica artistica si allarghi a più generalizzati mezzi dell’editoria. Figura che spiega, o almeno commenta un testo, è dunque, nella sostanza moderna, l’illustrazione: figura parlante, interpretante. Illustrare è termine, tuttavia, con varie altre accezioni, e non è inutile rammentare, per meglio comprendere l’oggetto di cui ci si occupa, che non significa solo eseguire una illustrazione su commissione ma anche (e ben da prima) illuminare, chiarire, dichiarare; nonché render illustre, per diretta connessione con l’etimo latino illustris, e su questa via bisognerebbe anche sapere che illustrare era in origine “mettere i lustri”, con conseguenti implicazioni decorative, se non esornative, per l’etimologia del termine. Basti, ai nostri fini, riconoscere almeno intuitivamente come tali accezioni riverberino con eco profonde nel significato di “illustrazione” con cui si acconsente di fatto in questa sede, e che già il Tommaseo aveva colto acutamente più di un secolo e mezzo fa: “Le illustrazioni apposte agli scrittori, diffondono o promettono diffondere sulle parole di quelli tanto lume quanto giovi ad intenderle e a compiacervisi”, precisando poco più innanzi, rispetto all’illuminazione, che “l’illustrazione può farsi coi mezzi penosi dell’arte umana”. L’ambiguo statuto dell’illustrazione sta, perciò, in una dimensione sospesa tra eteronomia e autonomia, tra l’ancillarità nei confronti della parola che si vorrebbe chiarisse e un’intrinseca capacità espressiva, che la lega al campo sempre più vasto delle “arti della rappresentazione” modernamente intese, di discipline mirate al consumo nella comunicazione; distante, dunque, tanto dall’autonomia piena del segno artistico quanto dalla funzionalità operativa del disegno di progetto, ma anche dalla codificata sintesi narrativa del fumetto o dalla specializzazione precipuamente iper-riproduttiva dell’immagine di sintesi digitale. Cogliere anche solo per frammenti, lungo provvisorie ipotesi, lo svolgersi incessante della produzione di illustrazioni, sradicandole sì dall’interazione col contesto immediato ma al contempo istituendo dei (sia pur sommari) repertori confrontabili, è necessario metodo critico per affrontarne la natura, individuarne i caratteri localmente e temporalmente mutevoli, tracciarne insomma una storia: compito complesso ma ineludibile per poter comprendere, senza ansie apocalittiche né attese messianiche, la onnipervasiva deflagrazione iconografica che caratterizza così fortemente l’età contemporanea, condizionando ogni progetto di trasformazione della nostra cultura.

[Talking Figures. Parlanti figure, nel catalogo della mostra New Pop, palazzo Fortuny, Venezia 1994, a cura di Giorgio Camuffo, Edizioni Arti Grafiche Friulane, Venezia-Udine 1994, snp]
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