4.11.04

[2003#02] un sasso nello stagno…


appunti e citazioni sparse

1 . dire e vedere
“Vanamente si cercherà di dire ciò che si vede: ciò che si vede – scrive Michel Foucault ne Le parole e le cose – non sta mai in ciò che si dice; altrettanto vanamente si cercherà di far vedere […] ciò che si sta dicendo”.

2 . pittura e scrittura
“La scrittura è fatta di lettere, e sia. Ma di che cosa sono fatte le lettere? – si interroga Roland Barthes a proposito del libro di Massin su La lettera e l’mmagine – (…) Si può cercare una risposta storica – sconosciuta per quanto concerne il nostro alfabeto –; ma ci si può anche servire di questa domanda per spostare il problema dell’origine, per portare una concettualizzazione progressiva dell’entre–deux, del rapporto fluttuante, di cui noi stabiliamo l’ancoraggio sempre in maniera abusiva. In Oriente, civiltà ideografica, è ciò che sta fra la pittura e la scrittura che è tracciato, senza che si possa trasferire l’uno all’altro; ciò permette di eludere questa nostra legge scellerata di filiazione, Legge paterna, civile, mentale, scientifica: legge discriminante in virtù della quale collochiamo da una parte i grafici, dall’altra i pittori; da una parte i romanzieri e dall’altra i poeti. Ma la scrittura è una e il ‘discontinuo’, che la instaura dovunque, fa di tutto ciò che scriviamo, dipingiamo, tracciamo, un unico testo”.

3 . tipografia e comunicazione
Nell’ottobre 1925, le “Typographische Mitteilungen” di Lipsia pubblicano elementare typographie: un avvenimento centrale nella storia della grafica del novecento, che suscita in Germania un’eco subitanea di polemiche, consensi e conversioni, pronta a rimbalzare in fama universale. “1 La nuova tipografia – vi si legge, tra l’altro – ha un fine obiettivo. 2 Il fine della tipografia in generale è la comunicazione. La comunicazione si realizza nel modo più sintetico, semplice ed esatto possibile. 3 Per rispondere alle funzioni sociali della tipografia, bisogna organizzare le sue componenti, sia interne (contenuti), sia esterne (uso coerente di materiali e metodi di stampa). 4 Organizzazione interna significa limitarsi agli elementi di base della tipografia: lettere, cifre, segni, righe di caratteri […] Gli elementi di base della nuova tipografia includono […] anche l’immagine oggettiva: la fotografia. La forma di base del carattere da stampa è senza grazie”.

4 . qualità e perseveranza
Parafrasando un grande pensatore tedesco, si potrebbe sostenere che “qualità è perseveranza”: la qualità è figlia di passione e rigore, educazione e impegno, senza risparmio e senza quartiere.

5 . qualità e comunicazione pubblica: le identità istituzionali
Cercando di trarre una lezione pratica dagli esempi migliori (nella storia) della comunicazione pubblica, a proposito della “qualità” si può sostenere, in estrema sintesi, che:
a . i risultati più elevati si sono ottenuti attraverso il più ampio ed ecumenico coinvolgimento dei migliori progettisti disponibili e accessibili, rinunciando a improduttive forme concorsuali ecumeniche, assumendosi piuttosto il rischio di concorsi a selettivi inviti o anche a diretti incarichi.
b . la complessità intrinseca della situazione contemporanea (ossia la catastrofe digitale, altresì e al contempo foriera di “progressive sorti”) suggerisce (a esser sinceri, da almeno 3 lustri) una “sistematica non schematica” di progetto, da configurarsi con semplicità ed elasticità, prevedendone una realizzazione collaborativa, condivisa e fatta propria da tutti coloro che ne sono partecipi, come gestori e utilizzatori attivi, ad ogni livello
c . l’arretratezza della cultura d’identità (e, in generale, visuale) del nostro paese in qualche modo motiva e fa obbligo a luoghi di ricerca e educazione come l’università di proporsi quali luoghi di messa a punto metodologica, di sperimentazione elevata del tema, di configurazione e produzione di artefatti comunicativi d’eccellenza. L’identità visiva è, ad ogni modo, parte di un sistema più ampio, con cui si identifica e vogliamo si identifichi un’istituzione: la sua capacità di comunicare. La progettazione e gestione dell’identità visuale e, più in generale, della comunicazione sono perciò funzioni di ateneo e non delle singole strutture. Per usare un’immagine musicale: il problema non è di costringersi a ripetere sempre la stessa solfa, perché le esecuzioni possono essere le più varie nelle più diverse condizioni e formazioni, ma di saper accordare gli strumenti e di rispettare la tonalità in chiave della partitura, mantenendo così l’armonia generale, la scansione del ritmo, il senso della melodia, tanto che si tratti di un’orchestra quanto di un solo strumento a suonare.
È (non solo) mia profonda convinzione che la forza dell’identità visiva di una istituzione quale quella universitaria debba fondarsi, una volta impostata e decisa, su una continuità morigeratamente innovativa: sul ricorso seriale, sull’iterazione ben temperata, sul rispetto intelligente di pochi elementi, a tutto vantaggio dell’intellegibilità esterna e della progressiva coesione interna delle strutture, attorno a una distintà configurazione dell’istituzione: si tratta di un’inesauribile work-in-progress, che impegna anni e per anni impegnerà a mantenersi coerenti con una fisionomia in perenne lento mutare.

[Un sasso nello stagno…, in “duepunti” (Venezia), febbraio, efc, p. 14]
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