20.10.04

[2002#09] abecedario

Prefazione

Questo volume raccoglie una ragionata selezione tra i tanti testi, di taglio in genere storico e intenti spesso divulgativi, che ho scritto nell’ultimo decennio, in occasioni e sedi diverse (taluni solo pronunciati, pochi altri inediti, altri ripresi più volte, come precisano le referenze editoriali al termine del volume), sui temi della grafica e delle immagini, delle scritture e delle lettere – nel senso più ampio dei termini, come suggeriscono le tre chiose – voci autoriali varie – poste qui in appendice, a mo’ di indirizzo critico alla lettura.
Pierpaolo Vetta si è assunto l’onere di dotare il volume di un coerente apparato iconografico, in grado di integrare i contenuti e illustrare le argomentazioni dei vari testi.
Lungi da ogni pretesa che il risultato sia una sistematica storia della grafica contemporanea, per la natura stessa dei testi (riediti così com’erano apparsi, con qualche minimo necessario ritocco), l’antologia è ordinata in due parti, la prima per temi e problemi (con un criterio legato ai contenuti), la seconda per protagonisti (con un criterio grosso modo cronologico).
Nella prima parte, ho esaminato con Tipologia i caratteri della “parola visibile”, dalle chirografie ai tipi digitali, in rapporto alla dialettica tra mezzi di tracciamento e supporto, auspicando l’avvento di quella neografia che -– con segreta soddisfazione – ho scoperto reclamata anche da Barthes; Architetture di carta si occupa in chiave storica di un artefatto grafico tra i più diffusi e significativi, il francobollo; Parlanti figure indaga il significato e il ruolo delle “illustrazioni”; a una forma peculiare di icone (segnaletiche e indicali) è dedicato Il ritorno dei pittogrammi; gli Appunti per una immaginaria voce di storia del pensiero visuale… propongono in maniera programmaticamente frammentaria una scaletta d’indagine a proposito di manifesti, cartelloni o poster che dir si vogliano; in Acrostico. ALTI/bassi riprendo un antico gioco scrittorio per discutere della situazione contemporanea della grafica; il gran calderone del digitale e dei possibili esiti di questa nuova forma di comunicazione è il tema di Zuppa digitale.
Alla luce delle ipotesi e dei temi discussi nella prima parte, il percorso storico della seconda parte procede per exempla: nella prima metà del novecento, a principiare da Peter Behrens, lungo una rotta segnata dai capisaldi delle sperimentazioni dei grandi costruttori sovietici El Lisickij e Aleksandr Rodcenko, del britannico Eric Gill e dei teutonici Jan Tschichold e Kurt Schwitters, nonché del Bauhaus, per giungere a Paul Renner & Paul Rand; La grafica svizzera… esamina il formarsi e consolidarsi di una specifica tradizione di “progettazione sistematica”, dal Nieuwe Beelding alla New Wave di Weingart, mentre il testo su Max Huber affronta la poco nota vicenda dei suoi esordi; l’excursus sui maestri, per la seconda metà del novecento, riprende dalla coppia Adrian Frutiger e Aldo Novarese, per discettare di tipi eccellenti, procedendo con due altri maestri italiani, quali Giovanni Pintori e Franco Grignani; il lungo testo su Wim Crouwel è occasione per tornare a scrivere di monoalfabeti e Paesi Bassi (suggerendo un metodo di indagine); alla biografia su Matthew Carter. Un uomo di caratteri fan seguito i testi su Erik Spiekermann, che affronta i temi dell’identità delle istituzioni e delle comunità urbane, e sull’ineffabile attività di Tibor Kalman; conclude l’antologia il saggio su Ed Fella, quale luogo di discussione sul vernacolare nella grafica statunitense contemporanea.
Pur asistematica, questa raccolta di testi ha un generale obiettivo critico, che la attraversa come un sottile filo conduttore: tentare di collocare l’attività che comunemente oggi si definisce “grafica” nel contesto che ritengo (non certo da solo) le competa e le sia proprio, tanto in termini storici che culturali. Nella storia dell’ominazione ossia nel lunghissimo periodo del farsi uomo (sapiens quanto faber) di una individua specie di primati a cui apparteniamo, il tracciamento di grafismi – prima astratti, ritmico-geometrici, poi raffigurativi, nelle ben note rappresentazioni cavernicole e in molti artefatti mobiliari “preistorici” – è attitudine altamente specifica (per taluni precedente la verbalizzazione), che data alcune decine di migliaia di anni ante Cristo. La “scrittura” di segni, da quelli preistorici (ove l’anteriorità alla storia sta tutta e soltanto nell’assenza di una scrittura testuale codificata) di cui non sappiamo discriminare le funzioni, se non per – spesso contrastanti e irrisolte, talora antistoriche – ragioni ipotetiche, alle più composite declinazioni presenti nella contemporaneità, ha contraddistinto il diffondersi e marca la presenza dell’uomo sulla terra. È indubbio che l’antropizzazione consista nella artificializzazione del mondo, nella costruzione e specializzazione progressiva di famiglie di artefatti, fabbricazioni assieme in variabili gradi protetico-utilitarie quanto comunicativo-simboliche: abiti ornamenti edifici sculture pitture attrezzi arredi libri macchine (lunga sarebbe l’elencazione) che dir si voglia. Nel nostro campo d’interesse, l’indagine storica (delle arti visive, in senso proprio) che non voglia esser miope nei propri fondamenti è esposta al confronto con un parco di artefatti grafici che si offre estremamente variegato e variabile per intenzioni autoriali e morfologie espressive, significati sociali e forme tecniche, modi di produzione e caratteri di ricezione. In quest’alveo amplissimo si può riconoscere il progressivo distanziarsi – senza mai completamente distaccarsi del tutto – nell’immagine (non a caso, l’etimo rimanda al significato di “doppio”) di scrittura e pittura, attività che il graféin greco ancora racchiudeva in uno. Con queste irrinunciabili premesse, la costruzione storica nell’ambito della “grafica” di nostro interesse può e deve scegliere i propri peculiari itinerari, individuandone i nodi più significativi, quali, ad esempio: l’accidentato percorso che si snoda dalle chiro-grafie alle tipo-grafie fino all’irruzione problematica del digitale, nel campo delle scritture testuali, in primis alfabetiche per noi occidentali; il percorso affine dei formati, dei proporzionamenti e dell’organizzazione dello sfondo/supporto materiale (papiro, pergamena, carta, monitor, per farla brevissima) in rapporto alle figure/grafismi (lettere e immagini) che vi sono campiti da strumenti, metodiche e tecniche di impressione altamente specifiche; infine, tra le molte altre chiarificazioni che premerebbe fossero acquisite diffusamente, la pertinenza della “grafica” contemporanea all’ambito del disegno industriale e più precisamente della progettazione visuale: disciplina specifica, che reclama addestramento inclinazioni strumenti adeguati, frutto di applicazione conoscenze e studio tutt’altro che improvvisabili e genericamente disponibili, al contrario di quanto parrebbe supporre la confusa nozione che ne ha la civilizzazione della nostra epoca.

Immagine
Dal latino imago, legato a imitare, la cui radice (attestata in area indo-iranica, baltica e celtica) è yem: col significato di doppio prodotto, frutto doppio, doppio. “L’immagine, in quanto segno, in quanto elemento di un sistema di comunicazione – ha scritto al proposito Roland Barthes –, ha un considerevole valore impressivo. Si è tentato di studiare questo potere di choc ma occorre essere molto prudenti: in quanto segno, l’immagine comporta una debolezza, diciamo una difficoltà notevole, che risiede nel suo carattere polisemico. Un’immagine irradia sensi differenti, che non sempre sappiamo padroneggiare; per il linguaggio, il fenomeno della polisemia risulta notevolmente ridotto dal contesto, dalla presenza di altri segni, che indirizzano la scelta e la comprensione del lettore o dell’ascoltatore. L’immagine si presenta invece in modo globale, non discontinua, ed è per questo che è difficile determinarne il contesto. Così, ciò che l’immagine guadagna in impressività lo perde spesso in chiarezza. Non bisogna dimenticare che la comunicazione è solo un aspetto parziale del linguaggio. Il linguaggio è anche una facoltà di concettualizzazione, di organizzazione del mondo, e dunque è molto più della semplice comunicazione. Gli animali, per esempio, comunicano molto bene tra loro o con l’uomo. Ciò che distingue l’uomo dall’animale non è la comunicazione, è la simbolizzazione, cioè l’invenzione di segni non analogici. Allo stato attuale, l’immagine rientra soprattutto nella sfera della comunicazione. È stato detto e ripetuto che siamo entrati in una civiltà dell’immagine. Ma si dimentica che praticamente non c’è mai immagine senza parole, siano queste sotto forma di legenda, commento, sottotitolo, dialogo”.


Grafica
In origine, graféin significa tanto scrivere che dipingere; donde qualcuno con felice immagine ha scritto – in rapporto al configurarsi della parola in un alcunché di visibile, a proposito del farsi figura del suono, in relazione al catastrofico passaggio alla storia, tramite le scritture, del mondo dell’oralità primaria (in cui s’è svolta la fantastica vicenda dell’ominazione, lungo decine di migliaia di anni) – del dividersi il mondo tra i popoli pittori delle ideografie e i popoli cantori degli alfabeti, in primis i greci, inventori delle vocali, otto secoli avanti cristo, e in sostanza perciò del nostro sistema di rappresentazione dei suoni della lingua. “L’unico evento storico che è coinciso con l’avvento della scrittura è la fondazione di città e regni, in altre parole l’integrazione di un gran numero di individui in un sistema politico e la loro suddivisione in caste e classi” – sottolinea appropriatamente Claude Levi–Strauss in Tristi Tropici. “La scrittura, in realtà, è ineluttabilmente sempre immagine – precisa Giovanni Lussu –. La tradizionale contrapposizione tra scrittura e immagine si rivela ingenua: sempre di immagini si tratta, strutturate in diversi modi e in diverse relazioni con il linguaggio. Non esistono immagini assolute, che abbiano in sé significati certi al di fuori dell’organizzazione che ne fa il linguaggio. La ricerca antropologica, come quella iconologica, mostrano che le immagini, per essere capite, devono configurarsi in sistemi di segni decodificabili; e si può osservare che una buona definizione generale di ‘scrittura’ è proprio ‘sistema di segni visivi decodificabili’. Ne consegue che i cosidetti ‘linguaggi visivi’, per poter essere portatori di significati univocamente comprensibili, devono essere ‘scritture’. La conclamata cultura delle immagini forse non è altro che la cultura della scrittura, liberata dai pregiudizi alfabetici”. “I nostri eruditi non hanno studiato a fondo che le scritture antiche: la scienza della scrittura – sottolinea Roland Barthes – non ha mai ricevuto altro che un sol nome: la paleografia, descrizione fine, minuziosa dei geroglifici, delle lettere greche e latine, abile mestiere degli archeologi nel decifrare antiche scritture sconosciute. Ma sulla nostra scrittura moderna, nulla: la paleografia si ferma al XVI secolo, e pur tuttavia come si fa a non immaginare che tutta una sociologia storica, un’immagine complessa dei rapporti che l’uomo classico intratteneva con il suo corpo, le sue leggi, le sue origini, potrebbe uscire da una siffatta neografia che ora non esiste? […] ma le scritture del XIX secolo? o persino quelle del nostro secolo?”.


Scritture esposte e estetica delle lettere
“Una scritta, una qualsiasi composizione alfabetica utilizzata in esterni, una qualunque scrittura esposta, nel senso più ampio del termine, non è mera espressione artistica con le forme dell’alfabeto o veicolo di valori estetici – ha chiarito Hermann Zapf –; prima di tutto, è strumento di comunicazione, per la trasmissione più semplice possibile di informazioni. Oltre ai caratteri alfabetici a stampa dei libri e dei giornali, ci si imbatte infatti in composizioni di lettere di ogni tipo, di giorno e di notte, sulle strade e nelle città. Una sviante confusione di segni è l’immagine che si ricava entrando in una città qualsiasi, oggigiorno. Il mondo intero è accomunato da questo disordine, da questo guasto al paesaggio e alle città. Chi è responsabile dell’inquinamento visivo delle nostre città? Talora parrebbe che le amministrazioni civiche siano gestite da ciechi o, meglio, da analfabeti della vista. Certo, gente che sa leggere e scrivere, ma è priva di ogni sensibilità nei confronti della qualità delle scritte e del loro uso. L’inquinamento grafico è planetario, e identico a Occidente come a Oriente. È dunque necessario rendere maggiormente consapevoli dell’importanza della qualità delle scritte i responsabili delle opere pubbliche. È deprimente vedere infatti quanto siano diffuse le scritte di scarsa qualità negli edifici. Un architetto non dovrebbe solo concepire un bel progetto; dovrebbe anche preoccuparsi dell’integrazione del suo nuovo edificio nell’ambiente. Lo studio delle scritte dell’edificio dovrebbe perciò esser parte integrante del progetto. L’ignoranza che rivela la scadente qualità attuale delle scritte negli edifici pubblici è particolarmente fastidiosa. In altri tempi, coloro ai quali erano affidate responsabilità collettive avevano un gusto più educato e il senso sia delle proporzioni sia del disegno delle lettere. Basti rammentare, al proposito, le costruzioni dell’impero romano, l’architettura barocca o quella coloniale: le iscrizioni sono qui in piena armonia con le proporzioni dell’architettura. Dobbiamo stimolare la discussione sulla segnaletica pubblica prima che sia troppo tardi. Il problema attuale è come allargare l’obiettivo alla segnaletica esterna tutta, che non significa solo alle città, ma anche al paesaggio in generale e, insomma, alla globalità del nostro ambiente visivo. L’inquinamento visivo cresce di giorno in giorno, e sostituire delle scritte è estremamente oneroso. In un’epoca di crescente consapevolezza dell’inquinamento in terra e in cielo, in un’era di maggiore responsabilità per la conservazione delle bellezze della natura, il comune cittadino dovrebbe essere sensibilizzato anche nei confronti dell’inquinamento visivo. Una proposta concreta, a tal fine, sarebbe quella di educare all’arte della scrittura fin dai primi livelli di scolarizzazione. Non è necessario apprendere le squisitezze della calligrafia; basterebbe conoscere le qualità positive o negative del disegno delle lettere, e distinguere tra buone e cattive proporzioni. In generale, una migliore educazione alle arti visive, alla comunicazione visiva e al ‘linguaggio visibile’ ci permetterà di evitare il protrarsi di quel danno al paesaggio che è rappresentato dalla presenza di scritte di cattiva qualità. L’educazione all’estetica delle lettere è fondamentale per istillare il senso delle proporzioni e dell’ordine visivo”.

Indice e referenze editoriali
Tipologia. I caratteri della parola visibile
Salvo marginali correzioni attuali, è lo stesso pubblicato con il titolo Tipologia in “Casabella” (Milano), 668, giugno 1999, pp. 68-75 (italiano) e 88-89 (inglese, col titolo Typology).

Architetture di carta. La grafica dei francobolli
A parte qualche lieve modifica e minime abbreviazioni attuali, è comparso con il titolo Architetture da incollare in “Casabella” (Milano), 660, ottobre 1998, pp. 36-41 (italiano e inglese, col titolo Paste-on Architecture). Ho ripreso il tema nell’articolo Minimo design pubblico, in “sintesi” (Perugia), 11, dicembre 2000, sn.


Parlanti figure. L’arte dell’illustrazione
In versione poco più ampia dell’attuale, si trova (inglese e italiano) nel catalogo della mostra New Pop, palazzo Fortuny, Venezia 1994, a cura di Giorgio Camuffo, Edizioni Arti Grafiche Friulane, Venezia-Udine 1994, con il titolo Talking Figures. Parlanti figure, sn.

Il ritorno dei pittogrammi. La semiosi si camuffa
Con qualche riferimento specifico ad autori di pittogrammi, omesso nella stesura attuale, è stato pubblicato con il titolo La semiosi si camuffa in “sintesi” (Perugia), 10, ottobre 2000, sn.

Appunti per una immaginaria voce di storia del pensiero visuale o, più precisamente, degli artefatti a stampa noti come manifesti
Scritto originariamente per il poster di una presentazione, è stato pubblicato in versione più ampia, con il titolo cartelloni. disegno industriale del manifesto, come testo introduttivo al lavoro grafico di Leonardo Sònnoli, in “dezine” (Treviso), 1, maggio 2001, pp. 10-11.

Acrostico. ALTI/bassi
Fa parte di una serie di acrostici su temi alfabetico/tipografici, alcuni editi in fogli sparsi (in occasione, ad esempio, della mostra di tipo-grafica Fahrenheit 451, tenutasi a S. Anastasio di Cessalto nel 1994). La versione attuale è stata pubblicato (in italiano), con minime differenze, come presentazione dei lavori grafici di Tassinari/Vetta, nel catalogo della mostra [4:3] 50 Jahre italienisches & deutsches Design, Kunst- und Austellungshalle dBD, Bonn 2000, a cura di Michael Erlhoff, col titolo Disordine grafico, pp. 312-313.

Zuppa digitale. Cultura dei cd-rom?
Testo parziale dell’intervento al simposio L’editoria digitale, promosso dal comune di Venezia, tenutosi a Mestre, il 10 aprile 1996.

Peter Behrens. Zeitgeist e caratteri
Sostanzialmente identico, col titolo Zeitgeist: le lettere di Behrens, è comparso in “Casabella” (Milano), 678, maggio 2000, p. 86.



El Lisickij. L’elettrobiblioteca del costruttore
Pubblicato, con minime differenze, come L’elettrobiblioteca del costruttore in “Casabella” (Milano), 680, luglio-agosto 2000, p. 88.

Aleksandr Rodcenko. Costruttori pubblicitari
Pressocché il medesimo testo è stato pubblicato, col titolo Costruttori pubblicitari, in “Casabella” (Milano), 682, ottobre, p. 92.

Eric Gill. Stone Carver
Senza variazioni di rilievo, si trova come Eric Gill / Stone Carver in “Casabella” (Milano), 686, febbraio 2001, p. 84.

Jan Tschichold. Fede e realtà
È il testo pubblicato, col titolo Fede e realtà, in “Casabella” (Milano), 688, aprile 2001, p. 94.

Kurt Schwitters. Merz ist Form: l’arte della tipografia
Il testo è stato pubblicato in “sintesi” (Perugia), 16, febbraio 2002, sn.

Bauhaus. Tipi, tipografia, tipofoto
Steso appositamente per questo volume.

Paul Renner & Paul Rand. Due maestri del novecento
Una versione con minime variazioni è stata pubblicata, come 2 x PR, in “Casabella” (Milano), 676, marzo 2000, pp. 85-86.

La grafica svizzera à la Wolfgang Weingart. Dal Nieuwe Beelding alla New Wave
In sostanza, è il testo pubblicato (in un servizio su Wolfgang Weingart, introdotto da una mia breve presentazione) col titolo Dal Nieuwe Beelding al New Wave in “Casabella” (Milano), 655, aprile 1998, pp. 48-63 (italiano e inglese, col titolo Wolfgang Weingart. From Nieuwe Beelding to New Wave), che ho approfondito nell’intervento Ascesa e crisi della “grafica svizzera”, introduzione alla lezione di Wolfgang Weingart, organizzata nella sala conferenze dell’Isia a Urbino, il 6 maggio 2000. Su Weingart sono tornato con L’arte tipografica di Wolfgang Weingart, in “sintesi” (Perugia), 9, giugno 2000, sn.

Max Huber. Note sull’astrazione concreta
La stesura attuale è (tranne qualche limatura) la versione originale del testo comparso (in inglese) come Max Huber. Thinking Through Images in “affiche” (Arnhem), 9, aprile 1994, pp. 46-51, pubblicato partim, col titolo Max Huber. Pensare per immagini, in “Casabella” (Milano), 650, novembre 1997, pp. 78-85 (italiano e inglese).

Adrian Frutiger. Petite Histoire de l’Univers
Senza troppe differenze, edito come Petite Histoire de l’Univers in “Casabella” (Milano), 669, luglio-agosto 1999, p. 84.

Aldo Novarese. La via italiana ai tipi
Al grande tipografo italiano ho dedicato una serie di testi, che è iniziata con il saggio (in inglese) Aldo Novarese: Letters Are Things in “emigre” (Sacramento), 26, spring 1993, pp. 30-37, e proseguita poco dopo con Aldo Novarese. Progettare l’alfabeto in “Arte|Documento|” (Udine), 7, 1993, pp. 339-344 (salvo qualche aggiustamento e poche abbreviazioni, quest’ultimo testo corrisponde alla stesura attuale). In memoriam, sono usciti due miei testi: il breve (in inglese) So long, Aldo! in “TypeLab Gaczeta” (Barcelona), settembre 1995, 3, p. 2, e (con parziali riprese dei precedenti) Aldo Novarese letterista 1920-1995, in “Casabella” (Milano), numero 0, dicembre 1995, pp. 44-47 - quest’ultimo idem in “Casabella” (Milano), 632, marzo 1996, pp. 46-49 (è rimasto, invece, inedito un necrologio che avevo scritto nel 1996 per “Abitare”). Più recentemente, un mio testo su Novarese, intitolato Alfa-beti: sintesi di scrittura e figura, ha trovato spazio in “sintesi” (Perugia), 8, marzo 2000, sn.

Giovanni Pintori. Effetto di sintesi
Il testo è stato pubblicato, in versione poco più ampia - intitolata Pintori, Omen Nomen -, da “sintesi” (Perugia), 12, febbraio 2001, sn.

Franco Grignani. Gestaltung visuale
Su Grignani ho pubblicato in “HQ High Quality” (Heidelberg), 3, 1995, pp. 34-39, un testo (in inglese) dal titolo The Gestaltung Primacy (nella edizione tedesca della stessa rivista, Das Primat der Gestaltung). La stesura attuale non è apparentata con quella di “HQ” ma è una riduzione del necrologio Franco Grignani (1908-1999) scritta per “Casabella” (Milano), 667, maggio 1999, p. 80.

Wim Crouwel. Monoalfabeti e Paesi Bassi
Con minimi ritocchi, si tratta del testo preparato, tra 1999 e 2000, per la riedizione critica in versione italiana del new alphabet, ancora work in progress.

Matthew Carter. Un uomo di caratteri
La presentazione del disegnatore di caratteri britannico è stata originariamente stampata al recto del poster disegnato da Leonardo Sonnoli, in occasione di un incontro con Carter a Pesaro, tenutosi il 24 aprile 1999. Comparsa, pressocché immutata, come Matthew Carter, uomo di caratteri in “Notizie Aiap” (Milano), 10, giugno 2000, pp. 41-42, è stata pubblicata, con qualche aggiustamento, sempre come Matthew Carter, uomo di caratteri in “Casabella” (Milano), 690, giugno 2001, pp. 76-83 e 95 (inglese, col titolo Matthew Carter. Man of Characters).

Erik Spiekermann. L’identità di Berlino
Pubblicato, in versione quasi identica, col titolo L’immagine della città, in “Casabella” (Milano), 634, maggio 1996, pp. 2-11 (italiano e inglese).

Tibor Kalman. And the Heat Goes On…
Necrologio pubblicato, in una stesura poco più ampia, come And the heat goes on… in “Casabella” (Milano), 670, settembre 1999, p. 84.

Ed Fella. Il vernacolo nella grafica statunitense
Dopo la presentazione del lavoro di Ed Fella, nell’ambito di Wanted Creativity - una iniziativa di Fabrica -, tenutasi a Catena di Villorba (Treviso) il 14 giugno 1997, ho pubblicato (in una versione con minime variazioni) il saggio Ed Fella, lettere dall’America in “Casabella” (Milano), 658, luglio-agosto 1998, pp. 50-61 (italiano e inglese, col titolo Ed Fella, Letters from America).


[Prefazione e indice/referenze di abecedario la grafica del novecento, Electa, Milano 2002, apparato iconografico a cura di Pierpaolo Vetta]

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