3.7.04

[1999#02] adrian frutiger


Petite Histoire de l’Univers
Si potrebbe sottotitolare: indizi di una non-lineare storia del lineare; meglio ancora, oscillazioni del lineare. Perché ciò cui allude il gallicizzante titolo non è l’infinito universo della cosmologia, della filosofia, delle belle lettere: né ciò che «avvolge e governa tutte le cose» (Anassimandro), né «un movimento per andare sempre più lontano» (de Malebranche), né quella «idea capace di corrompere tutte le altre» (Borges). Prosaicamente (alla lettera), è il carattere da stampa con cui sono composti, ormai da tempo, i testi della rivista che avete il garbo di leggere, universalmente (si fa per dire e per celiare) noto come Univers. È un lineare: un «tipo di carattere privo di tratti terminali (> Grazia) che si ispira alle lettere lineari dell’alfabeto greco e a quelle dell’arcaico romano» -spiega, sub voce, con concisa efficacia, Il dizionario del grafico di Giorgio Fioravanti (Zanichelli, Bologna 1993). Il rimando precisa: «Grazia. Tratto terminale di una lettera alfabetica (> Carattere). La forma della grazia è determinante per distinguere il disegno di un carattere e per darne una classificazione». Domanda: come si fa a distinguere e classificare i lineari, privi di grazie -non perciò, si spera, sgraziati d’emblée- per definizione? Compulsiamo ancora l’utile dizionario, ai lemmi correlati (guizza un’ideuzza: che il dizionario sia la matrigna di tutti gli iper-testi di cui si vocia tanto?). Alla fine, l’impressione è che la scienza dei tipi dei tipi sia una tipologia incerta; sottovoce: fonti riservate segnalano interessanti works in progress sul tema, nel nostro paese, non nuovo a imprese del genere. Di fatto, le tassonomie classiche di Thibaudeau (1924), Vox (1954), Novarese (1956), Pellitteri (1958), come anche la classificazione Din 16518 (1964), oscillano tra vaghe stilematiche del gusto, approssimative periodizzazioni parastoriche, descrizioni sommarie e parziali. Nulla dicono, ad esempio, sulla gestaltica conformazione essenziale delle lettere, sulla «A-ità delle A», come direbbe Matthew Carter. Nulla su quanto suggerisce circa la Tipologia l’esprit de finesse di un Roland Barthes, ad esempio: «In uno stesso campo culturale o storico, scritture si disgiungono o si generano da altre scritture. -si legge in Variazioni sulla scrittura (Einaudi, Torino 1999)- Si oppongono, sovente, in ragione della funzione […] Ma altrettanto spesso si incontrano, nella nostra storia, tipi di scritture fondate su semplici differenziazioni di forme -differenze in certo modo non necessitate ma dalle quali è sempre possibile trarre, per contrappunto, questo e quel risvolto etico […] Per concludere, la scrittura, come qualsiasi fenomeno storico, è sovradeterminata: sembra sottoposta, ad un tempo, a cause materiali (la scrittura si restringe se bisogna risparmiare spazio, allorché il supporto costi caro) e a motivazioni spirituali (la scrittura si rastrema per avvicinarsi allo stile di un’epoca e, se mi è concesso, per “provare” che c’è una filosofia della Storia: cioè che la Storia è una e unica)». Comunque sia, la genealogia del nostro Univers rimanda al mondo classico antico. Senza addentrarsi troppo nella bibliografia paleografica (ove l’Italia eccelle), di ciò si trova conferma già nelle illustrazioni del magnum opus di Nicolete Gray, A History of Lettering (Phaidon, London 1986): nell’epigrafia greca e in quella repubblicana romana le lettere son soventissimo lineari. Proseguendo la ricerca, sia pure a gran salti, si può scoprire che, nel saggio Sans Serif and Other Experimental Inscribed Lettering of The Early Renaissance (in «Motif», 1960, 5, reprintato in estratto da Letterperfect, Seattle 1997), la stessa Gray disquisisce della ripresa umanistica del lineare nelle opere di Lorenzo Ghiberti, Donatello, Michelozzo, Luca della Robbia, Bernardo Rossellino: per non parlar dell’Alberti (per questa via, si giunge presto ad Alvar Aalto…). Del resto, nell’ottimo, recente The Nymph and the Grot. The Revival of The Sanserif Letter (Friends of the St Bride Printing Library, London 1999), una vera autorità quale James Mosley disamina un’ennesima oscillazione del lineare, moderna questa volta, conducendo il lettore a osservare tanto i cartigli dei disegni di George Dance jr e di John Soane, quanto le opere di Thomas Banks e di John Flaxman, per arrivare al primo dei tipi a stampa sanserif, il Two Lines English Egyptian di William Caslon IV (1819 ca); ma c’è anche chi, in Italia, ipotizza con acume un’altra strada, che si dipana da Piranesi. E l’Univers? Ci siamo quasi. Un ulteriore revival del lineare ha luogo nel flesso otto-novecento; ben lo esprimono tipi come Akzidenz-Grotesk (1898) o News Gothic (1908); altra ondata lineare, tra anni dieci e venti del novecento, con caratteri quali London Underground (1916), Erbar (1924), Kabel (1927), Futura (1927), Gill Sans (1927), affiancati dagli esperimenti di De Stijl e del Bauhaus. Siamo ai nostri giorni: quando il giovane tipografo svizzero Adrian Frutiger (Unterseen 1928), diplomatosi alla scuola di arti applicate di Zurigo, va a lavorare presso la fonderia parigina Deberny & Peignot, ben presto si trova a ridisegnare caratteri storici per la prima fotocompositrice efficiente, la statunitense Photon. Charles Peignot, licenziatario della Photon (Lumitype in Francia), vuole un carattere lineare ad hoc per la macchina che rivoluzionerà la stampa, uccidendo il piombo. Sono vicini gli anni della terza ripresa lineare nel novecento, primi inter pares Helvetica (1957) e Optima (1958). Utilizzando esercizi scolastici zurighesi, Frutiger disegna l’Univers (1954-57), primo lineare da fotocomposizione: un carattere epocale (come il Futura di Paul Renner), nelle forme e nella inedita sistematica di progetto, con 21 varianti coordinate, di straordinaria durevolezza; non a caso, Frutiger ne ha curato un raffinato aggiornamento digitale, con 59 varianti, per Linotype, disponibile dal 1997.

[Nouveaux Bits: Petite Histoire de l’Univers, in “Casabella” (Milano), 669, luglio-agosto, p. 84]

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