30.6.04

[1998#06] francobolli

Il servizio postale moderno si costituisce verso la metà del secolo scorso, assumendo un ruolo centrale nei sistemi di comunicazione degli stati nazionali, che porta in breve alla costituzione di appositi organi di gestione e dei relativi dicasteri. Nonostante l’inarrestabile assalto di tecnologie prima elettriche (dal telegrafo al telefax) poi elettroniche (email in testa), la posta mantiene ancora un ruolo privilegiato nell’ambito della distribuzione sia della comunicazione testuale, della parola resa visibile tramite manoscritto o stampa, sia anche di un repertorio iconico, di un immaginario diffuso che, per alcuni versi, è altamente specifico (si pensi alla saga delle cartoline illustrate, al suo acme al principio del novecento). Ad assumere il ruolo di emblema di questo sistema di comunicazione, fungendo da «documento di viaggio» per il servizio, è il francobollo, la cui sostanziale innovazione è di natura economica: porre a carico del mittente e non più del destinatario i costi (in forma di tasse uniformi) di trasmissione del messaggio.
Pur dibattuta, la paternità dell’innovazione è attribuita comunemente a Sir Rowland Hill, perfetto esempio di progressiva pragmaticità britannica, in età di dilagante Industrial Revolution. Nel quarto decennio dell’ottocento, le tesi che Hill espone nel libello Post Office Reform: Its Importance and Practicability trovano rapida ed efficace applicazione, sotto la sua diretta sovrintendenza. Nel settembre 1839, infatti, oltre 2600 concorrenti partecipano al concorso per il disegno del nuovo artefatto grafico; insoddisfatto dei risultati, Hill opta per il proprio bozzetto, che riprende da una medaglia il profilo della regina Vittoria. Noto come Penny Black, il primo francobollo al mondo viene emesso dalle riformate poste inglesi il 1 maggio 1840, in un contenuto formato rettangolare (circa 2 x 2.5 cm), a lungo adottato come standard de facto. Tra anni quaranta e anni cinquanta dell’ottocento, un crescente numero di paesi segue l’esempio britannico, a cominciare dai cantoni di Zurigo e di Basilea e dal Brasile -mentre i primi francobolli appaiono in Italia nel 1849. Si affinano nel frattempo le caratteristiche tecniche dell’oggetto: formato, vignetta, carta, filigrana, gommatura -per la dentellatura (inizialmente i francobolli ne erano privi e venivano ritagliati con le forbici), l’irlandese Henry Archer cede al governo britannico il brevetto della prima perforatrice nel 1854.
Nell’arco di un secolo e mezzo, fissati ben presto i propri standard tipologici e le condizioni di circolazione extranazionale (la prima convenzione internazionale è del 1874), questo rettangolino cartaceo conosce una eccezionale fortuna planetaria. Si tratta, probabilmente, di uno tra i più eloquenti documenti visivi della cultura materiale contemporanea. Peculiare oggetto di design di massa, nel senso di un artefatto grafico industriale tra i più comuni, il francobollo è in grado di veicolare (aldilà della propria funzione fiscale) articolati messaggi iconici, talora di elevato «quoziente estetico» e comunque ampiamente apprezzati nella ricezione dal pubblico. Prova ne sia l’esistenza della filatelia, cioè di un mercato collezionistico tra i più ampi e di una ricchissima letteratura specialistica, ove raramente si incrociano però gli storici delle arti (il nostro Federico Zeri è una delle rare eccezioni). In questa misconosciuta storia, particolare rilievo assume l’esperienza delle Ptt, le poste olandesi, dirette da un manager sui generis quale Jean François van Royen. Dopo aver denunciato senza mezzi termini nel 1912 i limiti della produzione dell’azienda pubblica (“tre volte orribile: orribili i caratteri, orribile la composizione, orribile la carta; orribili i tre principali elementi che definiscono la qualità estetica degli stampati”), van Royen nel corso dei tre decenni successivi riusce a definire una «identità visiva» di elevatissimo livello per l’istituzione. Chiama infatti a raccolta, ecumenicamente, i migliori ingegni progettuali del paese -architetti e designers che vanno da K.P.C. De Bazel a M. De Klerk, da P. Zwart a C.L. van der Vlugt-, contribuendo a impiantare una specifica tradizione di Public Design nei Paesi Bassi, di grande vitalità, che dagli stampati (francobolli in testa) si dilata a tutti gli oggetti e i prodotti delle Ptt. La politica di “qualità globale” delle Ptt olandesi continua, in effetti, fino ai giorni nostri, anche dopo la trasformazione del servizio pubblico in azienda privatizzata, ed ha visto nel corso del tempo la collaborazione di altre figure di primo piano quali W. Sandberg, D. Elffers, C. Oorthuys, O. Treuman, J. Swaarte, J. Coenen, W. Crouwel. Il caso olandese, dunque, è esemplare per i risultati a cui ha portato una solida consapevolezza del valore di comunicazione pubblica rappresentato dai francobolli, tanto da affidarne a raffinati progettisti il disegno. Ma vi sono altre considerazione possibili e interessanti, sul processo di ideazione dell’artefatto in questione; non seconda -vista la sede di questa nota- è la scelta del soggetto, il tema del «commemorativo» (la maggior parte di quelli in circolazione), come viene chiamato nel lessico filatelico il francobollo destinato a rappresentare qualcosa di diverso dal semplice valore facciale. Escluso quello infantile, il collezionismo filatelico da tempo non è più generalista ma variamente tematico (astronautica, flora, fauna, sport e chi più ne ha più ne metta); tuttavia, inutilmente faticherebbe il nostro lettore a cercare dei cataloghi tematici di architettura -rarissima aves-, meno che mai di quella contemporanea. Tale assenza esprime una peculiare e a suo modo parlante contraddizione, che dovrebbe far meditare sull’immagine che le amministrazioni postali trasmettono dei propri paesi, in specie del presente. L’architettura, in vario modo, è infatti tra le rappresentazioni più comuni nei soggetti dei francobolli. Quella contemporanea (lo documenta l’episodica antologia raccolta in queste pagine, per exempla) vi fa timido capolino, restituendo un curioso ma non trascurabile riflesso tanto della cultura di chi è preposto a tali scelte, quanto soprattutto della percezione promossa e diffusa dallo stato circa i temi che «Casabella» propone ed argomenta. Si apprezza quanto si immette nel patrimonio culturale collettivo ovvero: ciascuno mostra quel che si merita -parrebbero, non senza ironia, suggerire questi niente affatto innocui rettangolini di carta.

[Architetture da incollare, in “Casabella” (Milano), 660, ottobre, pp. 36-41]
Creative Commons License
This work is licensed under a Creative Commons License.