26.6.04

[1998#02] nieuwe beelding > new wave

La lunga marcia della grafica svizzera
Un complesso e assai poco esplorato itinerario storico porta al formarsi in Germania, negli anni tra le due guerre, di una particolare grafica sistematica, incline al rigore informativo, all’economia dei mezzi, ai fini socio-comunicativi, ai linguaggi universali piuttosto che al gusto espressivo, alle urgenze artistiche, al gioco formale, alle ricerche personali. È il fenomeno divenuto in seguito, dopo aver favorevolmente incubato in terra elvetica, comunemente noto coll’epiteto geografico di grafica svizzera, che si è tradotto in una sorta di International Style visivo, imperante nel globo dagli anni cinquanta ai settanta, salvo tardivo-nostalgici epigoni attuali. Costretti dalla tirannia di spazio e dalla coerenza con il tema del Forum a trascurare altri contributi fondamentali (quali quelli di Otto Neurath o di Kurt Schwitters, piuttosto che quelli di Herbert Bayer, di Laszlo Moholy-Nagy o di El Lisickij, inter alii), vorremmo almeno suggerire qui -assai succintamente, tramite alcuni episodi rilevanti- una traccia a nostro avviso significativa di tale storia, che si snoda lungo anse inedite.
Nieuwe Beelding > 1922: una figura chiave di «De Stijl», l’organo di diffusione dell’ascetica astrazione del Nieuwe Beelding (neoplasticismo) olandese, quale il geniale agit-prop culturale C.E.M. Küpper -meglio noto come Theo van Doesburg- tiene un polemico corso a Weimar, mirato a dimostrare a maestri e allievi del Bauhaus i «principi di un nuovo e radicale processo creativo» e gli esiti di una impostazione cromoplastica «esatta» dei problemi artistici. Tra gli allievi, studenti del Bauhaus stesso, quali Max Burchartz, Werner Gräff, Peter Röhl, con precedenti pittorici, recenti incursioni espressioniste, vocazione e formazione artistica; si tratta, per loro, di una sorta di conversione sulla via di Weimar. Li ritroviamo tutti, di lì a poco, impegnati professionalmente nella progettazione di artefatti comunicativi, pubblici e privati, di forte afflato sistematico.
1923: Gräff elabora il suo Material zum Problem einer Internationalen Verkehrs-Zeichen-Sprache, un progetto di segnaletica internazionale per la circolazione stradale, fondato sull’uso del colore e l’unificazione dei tipi.
1926: Röhl prospetta un’ancor più radicale unificazione segnaletica, con una famiglia universale di pittogrammi per i luoghi pubblici.
1924-27: per parte sua, abbandonata l’attività di pittore-artista, Burchartz (partner di Johannes Canis nel 1924-27, nello studio di grafica werbe-bau a Bochum) progetta una delle prime segnaletiche sistematiche conosciute per un edificio, basata sull’uso del colore, nella Hans-Sachs-Haus di Alfred Fischer a Gelsenkirchen (1924-27). Al contempo, le formulazioni di Burchartz a proposito di Gestaltung der Reklame, pubblicate da «Die Form» nel 1926 ma già note nel 1924, si rivelano di eccezionale importanza nella storia della progettazione visuale contemporanea. «In questo lungo articolo -scrive al proposito Richard Hollis, in Graphic Design. A Concise History, London 1994, forse la migliore sintesi storica sulla grafica moderna-, Burchartz analizza la funzione della pubblicità, che cosa la rende efficace e in che modo ne è coinvolto il fruitore. Il concetto di messaggio e di ricezione, che divenne un modo comune di considerare la comunicazione negli anni cinquanta, viene qui introdotto da Burchartz. Ma la massima parte dell’articolo […] è dedicata alla “organizzazione estetica dei mezzi della comunicazione persuasiva”. […] Burchartz elabora questi principi in una serie di progetti che definirono il volto grafico del modernismo internazionale, destinato a sopravvivere al nazismo per riemergere negli anni sessanta con il nome di grafica svizzera».
1927-29: le città di Bochum e di Dortmund, primi esempi noti nella storia, affidano la loro comunicazione d’identità pubblica a stampa, rispettivamente nel 1927 ad Anton Stankowski (il quale nel 1927-29 è allievo di Burchartz alla Folkwangschule di Essen e, contemporaneamente, free-lance nell’agenzia di Canis a Bochum) e nel 1929 a Burchartz.
1929: Stankowski, trasferitosi in Svizzera, lavora presso la Agentur Max Dalang a Zurigo, fino al 1937; è un vero pioniere della grafica industriale, esatto opposto della grafica d’illustrazione: essenzialità, asimmetria, libertà compositiva, ricorso esclusivo al bastoncino Akzidenz Grotesk.
1933: Jan Tschichold, sovversivo fautore della grafica asimmetrica, “bolscevico” propugnatore della elementare typographie (1925), autore del celeberrimo Die Neue Typographie (1928), emigra dalla Germania nazista (dopo sei settimane di schutzhaft con la moglie) e si rifugia a Basilea, città in cui matura una controversa svolta verso la tradizione, eleggendo a sua seconda patria la Svizzera (ove vive fino al 1974, se si eccettua il soggiorno londinese del 1946-49).
1939-45: durante la guerra, nella neutrale confederazione elvetica si sviluppano tutti questi semi, impiantandosi nel fertile terreno locale e incrociandosi con quelli indigeni (Max Bill, Cyliax, Walter Herdeg, Herbert Matter, Emil Schulthess, Alfred Willimann et alii, specialmente legati all’arte concreta e al movimento Abstraction-Création. Art non figuratif -al cui proposito, v. «Casabella», 1997, novembre, 650, p. 84).
1946: dopo che, sotto la guida di Emil Ruder, gli studenti della Allgemeine Kunstgewerbeschule di Basilea hanno ristampato alcuni capolavori della grafica degli anni venti, si innesca una violenta polemica tra Bill e Tschichold sul senso della modernità nella grafica, progressivo-trasgressiva per il primo, realistico-riflessiva per il secondo.
1955: Karl Gestner, grafico di Basilea (in partnership con Markus Kutter) preso ad esempio di capacità innovative da Bill, progetta e impagina un importante numero monografico di «Werk», dedicato alla grafica, che illustra -per il versante “persuasivo”- con il lavoro dello studio zurighese Odermatt & Tissi: è l’occasione per mettere a punto un concetto sachlich di “griglia”, quale tracciato regolatore e ordinatore nel progetto degli stampati.
1957: Max Miedinger, su richiesta di Edouard Hoffmann, disegna per la fonderia svizzera Haas un bastoncino destinato a planetaria fama e successo, il Neue Haas Grotesk, basato sull’Akzidenz Grotesk di stankowskiano apprezzamento: per la distribuzione sul mercato tedesco, da parte della Stempel nel 1961, viene ridenominato (omen nomen) Helvetica, un tipo fin troppo a tutti noto.
1958: inizia le pubblicazioni la rivista trilingue elvetica «Neue Grafik», con l’intento di «creare una base internazionale per la discussione della grafica moderna e delle arti applicate», frutto dell’impegno senza compromessi della “banda dei quattro”: Richard P. Lohse (responsabile di una fondamentale antologia, peraltro, sull’exhibition design); Josef Müller-Brockmann (autore, tra vari testi standard, di Gestaltungsprobleme des Grafikers, prima sistematizzazione del Raster Systeme); Hans Neuburg, collaboratore di Stankowski; Carlo Vivarelli, collaboratore di Antonio Boggeri (v. «Casabella», 1997, novembre, 650).
1967: «È nelle scuole di progettazione visuale di Basilea e Zurigo -spiega ancora Hollis, nel volume citato- che la grafica svizzera […] si consolida e si sviluppa. Negli anni settanta e ottanta, sia alcuni grafici affermati […] che una nuova brillante generazione di progettisti di manifesti lavorano liberamente su tali fondamenta. Adattano i loro metodi alla specificità di ogni singolo incarico, senza limitarsi all’Akzidenz Grotesk e al Helvetica o alle impaginazioni ortogonali che avevano tipizzato in stile la grafica svizzera. L’Akzidenz Grotesk, specialmente nei pesi più scuri, resta comunque il tipo preferito da Wolfgang Weingart, il più influente all’estero tra i giovani grafici svizzeri. […] Sin dal 1967, Weingart […] ha sostenuto con garbo il ruolo di enfant terrible, mettendo entusiasticamente in questione attitudini ereditate, provandosi in prima persona in una notevole produzione sperimentale. Suo portavoce è allora il mensile «Typographische Monatsblätter», le cui copertine (15 nel 1972 e 1973) […] vengono progettate per spingere il lettore “passo passo attraverso un lessico definito dai vari teorici della progettazione e della comunicazione […] la forma ignora i dogmi della composizione tradizionale e sfida le ideologie di progetto”. Weingart tiene un lungo tour di conferenze negli Usa nel 1972 e 1973; pubblica la conferenza -il cui tema è l’insegnamento a Basilea- nel 1976, con il titolo How Can One Make Swiss Typography? […] Weingart ha risospinto la grafica verso il campo dell’espressione personale, raggiungendo l’apice nella copertina che disegna per l’accademica rivista statunitense «Visible Language» nel 1974, ove scarabocchia No idea for this fucking cover today. Ma l’importanza di Weingart sta nel precoce suo riconoscimento delle nuove tecnologie […] si è confrontato in questa sfida con gusto inventivo, esplorando la fotocomposizione e la pellicola fotografica nel verso del collage di alfabeto e immagine».
1987 > New Wave: «Nel 1968, quando ho iniziato ad insegnare nella Allgemeine Kunstgewerbeschule di Basilea -commenta, nell’introduzione all’edizione inglese della conferenza che pubblichiamo qui, Weingart stesso, chiamato a insegnare a Basilea da Armin Hofmann (visiting professor anche presso la Philadelphia Museum School of Art e la Yale University sin dagli anni cinquanta)-, mi era chiaro che dovevo radicalmente ampliare le idee, le teorie e i limiti visuali della cosiddetta tipografia svizzera. […] Fondamentalmente, sono un autodidatta. Ciò mi ha permesso di non seguire mode, movimenti o stili. Tuttavia, la libertà che mi sono conquistato reclama una severa disciplina e senso di responsabilità. […] Allora, oltre vent’anni fa, nessuno poteva pensare che questo nuovo approccio visuale e questo metodo sperimentale potessero essere alle origini di quanto oggi è noto come New Wave. Negli ultimi due decenni, sono passati per il corso avanzato di grafica studenti di quasi 25 paesi, che oggi sono sparsi in tutto il mondo». La omologante New Wave americana, la Hybrid Imagery digitale narrata da April Greiman per prima, il decostruzionismo visuale statunitense affondano dunque le loro radici nella vecchia Europa, soprattutto forse nella radicale critica weingartiana di una “grafica svizzera” ormai ridotta a vuoti stilemi. Negli anni ottanta, la New Wave si nutre di (talora maldigerite) idee del Vecchio Mondo, prima di dilagare ovunque nei novanta, muovendo dalla California (ove si fa notare precocemente appunto Greiman, allieva di Weingart a Basilea, oltre a Lucille Tenazas, al sociologo David Carson che ha studiato grafica in Svizzera e, soprattutto, agli emigrés europei Rudy Van der Lans e Zuzana Licko), dalla Cranbrook Academy of Art (grazie all’azione pluriventennale congiunta dei McCoy; al proposito, v. «Casabella», 1997, aprile, 644, e giugno, 646), dal Mit (col seminale Visible Language Workshop di Muriel Cooper, editor di “Visible Language”), da Yale (luogo d’insegnamento di Dan Friedman, studente a Basilea e a Ulm, organizzatore del primo tour americano di Weingart, autore di Radical Modernism) e da New York (con l’anti-design, ad esempio, della M&Co. di Tibor Kalman -in seguito editor di «Colors»-, lo stile freddo di Willi Kunz -studente a Basilea-, il gusto olandese di Doublespace -un duo formatosi a Cranbrook).
Nella sua lunga marcia, sospinta da tramontana, la grafica svizzera, cavalcando la propria crisi dopo l’era passata di dominio imperiale del mondo, ha osato ancora volger la prua a Oriente, per tornare a buscar Occidente.

[Dal Nieuwe Beelding al New Wave, in “Casabella” (Milano), 655, aprile, pp. 48-63]
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